Benjamin Walter
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Autore: Carlo Gagliardi
Nato nel 1892 a Berlino, da famiglia dell’alta borghesia ebrea. Cugino di Theodor W. Adorno, critico del potere e della violenza culturale nella società. Muore suicida nel 1940, a Port-Bou (Spagna), per sfuggire alla persecuzione nazista. Il suo pensiero si discosta e presenta un’articolazione originale rispetto alla Scuola di Francoforte, di cui fu peraltro un esponente.
Studia in diverse università approfondendo molteplici discipline: storia dell’arte, estetica, filosofia, teologia. Fortemente influenzato dallo Spirito dell’Utopia (1918) del teorico dell’espressionismo Ernst Bloch, nel primo periodo manifesta anch’egli una posizione negativa nei confronti della tecnologia di massa. Nella maturità perviene invece, soprattutto con L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), a un rovesciamento in positivo del giudizio, tanto che Adorno e Horkheimer si sentono in dovere di metterlo in guardia contro i pericoli di un "ingenuo illuminismo". Il nuovo B. ritiene, in assonanza con l’amico Brecht, che la "tecnica" possa considerarsi alleata del proletariato nell’autoliberazione, in quanto "strumento di demistificazione". La Scuola francofortese, da Adorno a Marcuse, condivide la suggestione espressionista che è propria di B.: attenzione per i diseredati, tensione morale volta al loro recupero nei confronti della società che li condiziona. A sua volta B. influenza pure il concetto adorniano dell’uomo "saggio" inteso come libera sperimentazione intellettuale. Ebbene, la critica della Scuola al pensiero di B. riguarda un suo preteso errore: quello di non riconoscere la strumentalizzazione inevitabile della tecnologia al "controllo" da parte del potere, per cui quanto più gli individui diventano "massa" tanto più fatalmente vengono integrati nel meccanismo che vorrebbero combattere.
Di B. si ricordano studi sulle avanguardie letterarie, di cui assimila il gusto per il montaggio o giustapposizione di oggetti culturali tendente, da un lato, a destrutturare i discorsi dominanti e, dall’altro, a rivelare con la metafora quelle corrispondenze che nella sua visione rappresentano altrettante "illuminazioni". Campi di indagine benjaminiani sono inoltre il linguaggio, il racconto, la funzione del traduttore, i rapporti fra architettura, economia e modalità di pensiero. In particolare il linguaggio non è considerato come "comunicazione" ma come "stratificazione di civiltà" che B. decifra da "archeologo culturale". Alcuni temi troveranno eco negli scritti di Baudrillard, nelle creazioni di Warhol, mentre restano un punto fermo per l’analisi del cinema. Nell’investigare una situazione in cui la riproducibilità e la trasmissione meccanica non sono più concepite in termini di fedeltà a un modello, bensì "immagini" dotate di realtà, di autonomia sociale e artistica, B. supera l’oggetto cinematografico in senso stretto per anticipare alcuni effetti che saranno indotti (anni dopo la sua morte) dalla televisione. Di B., i cui manoscritti hanno dovuto in gran parte superare una lunga dispersione, citiamo soltanto le opere che più chiaramente affrontano aspetti e problemi della ‘mediazione’: L’autore come produttore (1934); Illuminations. Essays and reflections, Shocken Books, New York 1965; Opere di Walter Benjamin (a cura di G. Agamben), Einaudi, Torino 1982; L’homme, le langage et la culture, Denoel-Gonthier-Médiations, Paris 1983; Le concept de critique esthétique dans le romantisme allemand, Flammarion, Paris 1986; L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1991 (ed. orig. 1936).
Studia in diverse università approfondendo molteplici discipline: storia dell’arte, estetica, filosofia, teologia. Fortemente influenzato dallo Spirito dell’Utopia (1918) del teorico dell’espressionismo Ernst Bloch, nel primo periodo manifesta anch’egli una posizione negativa nei confronti della tecnologia di massa. Nella maturità perviene invece, soprattutto con L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), a un rovesciamento in positivo del giudizio, tanto che Adorno e Horkheimer si sentono in dovere di metterlo in guardia contro i pericoli di un "ingenuo illuminismo". Il nuovo B. ritiene, in assonanza con l’amico Brecht, che la "tecnica" possa considerarsi alleata del proletariato nell’autoliberazione, in quanto "strumento di demistificazione". La Scuola francofortese, da Adorno a Marcuse, condivide la suggestione espressionista che è propria di B.: attenzione per i diseredati, tensione morale volta al loro recupero nei confronti della società che li condiziona. A sua volta B. influenza pure il concetto adorniano dell’uomo "saggio" inteso come libera sperimentazione intellettuale. Ebbene, la critica della Scuola al pensiero di B. riguarda un suo preteso errore: quello di non riconoscere la strumentalizzazione inevitabile della tecnologia al "controllo" da parte del potere, per cui quanto più gli individui diventano "massa" tanto più fatalmente vengono integrati nel meccanismo che vorrebbero combattere.
Di B. si ricordano studi sulle avanguardie letterarie, di cui assimila il gusto per il montaggio o giustapposizione di oggetti culturali tendente, da un lato, a destrutturare i discorsi dominanti e, dall’altro, a rivelare con la metafora quelle corrispondenze che nella sua visione rappresentano altrettante "illuminazioni". Campi di indagine benjaminiani sono inoltre il linguaggio, il racconto, la funzione del traduttore, i rapporti fra architettura, economia e modalità di pensiero. In particolare il linguaggio non è considerato come "comunicazione" ma come "stratificazione di civiltà" che B. decifra da "archeologo culturale". Alcuni temi troveranno eco negli scritti di Baudrillard, nelle creazioni di Warhol, mentre restano un punto fermo per l’analisi del cinema. Nell’investigare una situazione in cui la riproducibilità e la trasmissione meccanica non sono più concepite in termini di fedeltà a un modello, bensì "immagini" dotate di realtà, di autonomia sociale e artistica, B. supera l’oggetto cinematografico in senso stretto per anticipare alcuni effetti che saranno indotti (anni dopo la sua morte) dalla televisione. Di B., i cui manoscritti hanno dovuto in gran parte superare una lunga dispersione, citiamo soltanto le opere che più chiaramente affrontano aspetti e problemi della ‘mediazione’: L’autore come produttore (1934); Illuminations. Essays and reflections, Shocken Books, New York 1965; Opere di Walter Benjamin (a cura di G. Agamben), Einaudi, Torino 1982; L’homme, le langage et la culture, Denoel-Gonthier-Médiations, Paris 1983; Le concept de critique esthétique dans le romantisme allemand, Flammarion, Paris 1986; L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1991 (ed. orig. 1936).
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Bibliografia
- ARENDT Hannah, Il pescatore di perle. Walter Benjamin 1892-1940, Mondadori, Milano 1993.
- BACHIS Maria Luisa, Walter Benjamin, Firenze Atheneum, Firenze 2000.
- BELLUCCI Valentino, Walter Benjamin. La duplice genealogia del simbolo e della verità, Ghibli, Milano 2004.
- GILLOCH Graeme, Walter Benjamin, il Mulino, Bologna 2008.
- MAYER Hans, Walter Benjamin. Congetture su un contemporaneo, Garzanti, Milano 1993.
- PASCUCCI Margherita, Il pensiero di Walter Benjamin. Un'introduzione, Parnaso, Trieste 2002.
- ROBERTS Julian, Walter Benjamin, Il Mulino, Bologna 1987.
- WITTE Bernt, Walter Benjamin. Introduzione alla vita e alle opere, Lucarini, Roma 1991.
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Come citare questa voce
Gagliardi Carlo , Benjamin Walter, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (27/12/2024).
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